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Castel del Giudice
Che il nome del paese derivi dall’esistenza di un castello che per un periodo appartenne ad un giudice, non vi sono dubbi. Ma se oggi vai nel paese alla ricerca di quella fortezza e di quel giudice, non troverai traccia alcuna.
A Castel del Giudice è stato distrutto tutto. E’ stata cancellata addirittura la forma urbana pur se il paese disperatamente è rimasto posizionato sul medesimo colle del primo castello che, trasformato in palazzo baronale, oggi appare come un banale edificio scatolare dove non è possibile trovare una pietra, una cornice, uno stipite, un accidente qualsiasi che permetta una considerazione sul suo passato comunque importante. Eppure il castello doveva essere di notevoli dimensioni, sicuramente posizionato in quella parte del paese che è sopravvissuta alle trasformazioni del tempo e che corrisponde all’area immediatamente vicina alla chiesa parrocchiale di S. Nicola. Anche questa è stata trasformata, rinnovata e ripulita (forse pure troppo). L’interno è a tre navate con la serie di altari barocchi dedicati ai santi consueti (S. Giuseppe, S. Rocco, S. Emidio, S. Antonio, S. Anna), i cui simulacri sono abbastanza moderni, e mostra sotto le moderne dorature i caratteri di un’architettura settecentesca non particolarmente ricca anche perché priva di quelle decorazioni marmoree che invece caratterizzano le chiese dei paesi vicini. Nella sagrestia però, si conserva un bellissimo armadio barocco, con colonne a torciglione.
Chiedo di potere vedere la croce astile medievale che è il motivo principale per cui vale la pena di andare a Castel del Giudice. Non è facile perché è conservata in altro luogo, più sicuro. Don Nicola mi chiede di avere la pazienza di aspettare e finalmente potrò osservarla. Si tratta di una croce particolare. Credo sia la più antica delle croci astili dell’intera regione, anche se, certamente, fu realizzata da un orafo del confinante Abruzzo, forse di Sulmona, nel XIII secolo. In realtà di oro non vi è nulla se non alcune tracce di una doratura ormai quasi completamente scomparsa. è in lamina di rame sbalzato, sostenuta da un’anima di legno nella quale si innesta la base sferica che la collegava ad un’asta processionale che non c’é più. Secondo il solito ha due facce. Sul fronte il Cristo crocifisso poggia i piedi su un ampio sostegno. Sulla sua testa il cartiglio con le lettere IHS. Un minuscolo angelo piombante, con la tunica lunga da cui fuoriescono i piedi nudi, scende a soccorrerlo a testa in giù. Sui terminali trilobati dei bracci della croce sono rappresentati a sinistra il leone alato dell’evangelista Marco, a destra il bue alato di Luca, in alto l’Angelo di Matteo. Nel trilobo inferiore una singolare immagine di Adamo nudo che sposta la pietra della sua tomba a ricordare la tradizione apocrifa secondo cui il luogo della crocifissione di Cristo era il medesimo della sepoltura del primo uomo.
Nel recto la parte centrale è occupata da una mandorla che contiene un Cristo Pantocratore, scalzo, benedicente alla greca con il libro della Verità nella sinistra. A sinistra la Madonna e a destra S. Giovanni dolente. In alto l’aquila dell’evangelista Giovanni ed in basso un angelo in piedi, dalla tunica lunga, che sembra reggere un panno, forse il sudario di Cristo. Di buona fattura sono le decorazioni floreali e, apparentemente aggiunte, le fascette di rinforzo sovrapposte sui tre bracci.
Nulla sappiamo del giudice che fu il titolare di Castel del Giudice sicuramente da prima del 1144, perché il paese già si chiamava Castellum Judicis quando Guglielmo di Agnone (appartenente alla celebre famiglia dei Borrello essendo figlio di Burrellus Senior) lo prese in feudo insieme a Monte Forte ed Agnone e ne ricavava una rendita che gli imponeva di contribuire a mantenere ben 16 militi ed altrettanti servienti nell’esercito regio.
Nel 1267 Castel del Giudice per un brevissimo periodo appartenne a Corrado di Antiochia, ma gli angioini lo affidarono prima a Paolo de Giga, poi a Stefano di Belcair ed infine a Gualtiero da Ponte. Dalla famiglia di costui poi passò ai d’Evoli che tennero il feudo fino che fu ceduto a Giovanni Caldora, capostipite di una famiglia di capitani di ventura celebri per le loro alterne e a volte contraddittorie gesta epiche. Il più famoso fu certamente Giacomo, figlio di Giovanni, nato da Rita Cantelmo nel 1368. Battista Masciotta sostiene, e sicuramente non sbaglia,che egli fu il maggior uomo d’arme del secolo XV, malgrado nelle istorie, nella rinomanza, e nella tradizione, avessero e conservino più alto grido quegli stessi emuli suoi ch’egli batté in giornate campali. Motivi della minor fama molteplici: il non aver avuto uno storiografo come gli altri a lor tempo, il non essere stato raffigurato da nessun artista, la scarsa conoscenza che si ha della storia di Napoli nelle odierne scuole d’Italia, e precipuo quello ch’egli non corse la penisola, ed uscì anzi raramente dai confini del Reame. Angelo di Costanzo lo descrive come uomo magnanimo e, sebbene possedesse gran parte dell’Abruzzo, del Contado di Molise della Capitanata e della Terra di Bari, non volle mai rivendicare il titolo di Principe o di Duca. Ebbe vasta cultura e gli piaceva avere contatti soprattutto con uomini d’armi che fossero parimenti valorosi, e nobili. Alla sua scuola impararono l’arte militare il figlio Antonio, Lionello Crocciamura, Paolo di Sangro, Nicolò e Carlo di Campobasso, Matteo di Capua, Francesco di Montagano, Raimondo d’Annecchino, Luigi Torto, Ricciardo d’Ortona, Raimondo Caldora e tanti altri che fecero la storia del mezzogiorno nel XV secolo. Morì settantenne con le armi in pugno in una battaglia campale a Colle, presso benevento, e il suo corpo fu tumulato nell’Abbazia di S. Spirito a Sulmona nel mausoleo di famiglia che la madre Rita aveva fatto costruire nel 1402.
Castel del Giudice fu dei Caldora per tre generazioni, ma dopo i tradimenti di Antonio fu demanializzato e poi concessao da Ferdinando I alla moglie Giovanna che lo tenne fino al 1507. Il feudo fu venduto ai Colonna che lo cedettero ai Carafa che poi lo vendettero a Marino de Segur nel 1559 e successivamente ai Castagna che ne furono padroni fino al 1577. Il feudo cambiò spesso padrone e passò dai di Tocco, ai Castiglione, ai Marchesano, ai d’Alessandro di Pescolanciano, ai Santobuono e di nuovo ai d’Alessandro che lo tennero fino all’eversione della feudalità.
Dal paese si fa una bella passeggiata per raggiungere il minuscolo santuario della Madonna della Saletta situato a mezza costa sul versante meridionale della valle del Sangro.