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Filignano
Dal Catalogo normanno dei baroni sappiamo Actenulfo e sua moglie Landenalsi alla metà del XII secolo tenevano in feudo, per conto proprio, Filignano, che allora si chiamava Fondellano.
Ma le notizie dell’esistenza di Filignano sono ancora più antiche e, come al solito, le ricaviamo dal Chronicon Vulturnense in un documento del luglio 962, a proposito della scomparsa chiesa di S. Eleuterio all’epoca dell’abate Paolo: de alia parte fine Fundiliano, ubi edificata est ipsa ecclesia Sancti Eleutherii, cella nostri monasterii.
Lo storico molisano Giambattista Masciotta, per rimediare ad una sua precedente involontaria dimenticanza, quando trattò delle vicende storiche di Filignano tenne ad affermare che quella cittadina gode a fama dell’insigne bellezza delle sue donne!
Filignano ai primi del secolo aveva quasi quattromila abitanti, oggi ridotti a meno di un quarto, e per ritrovare le belle donne di cui parlava Masciotta bisogna attendere l’estate quando annualmente migliaia di emigrati fanno ritorno alla propria terra da ogni parte del mondo. Per chi voglia trascorrere qualche giorno in una delle zone più sconosciute della nostra penisola, questa cittadina rappresenta un punto di riferimento particolarmente ospitale per la squisita disponibilità dei suoi abitanti e per la bellezza dei suoi luoghi.
Posta ai limiti meridionali del Parco Nazionale d’Abruzzo e nell’ambito dell’antico territorio dei monaci longobardi di S. Vincenzo al Volturno, è circondata da boschi nei quali si insinuano itinerari dove è facile incontrare i segni di antiche civiltà o gli oggetti fisici di una religiosità particolarmente viva.
Pur se il suo territorio è apparentemente estraneo ai grandi assi di collegamento peninsulare, nell’alto Medioevo, dopo le due invasioni saracene del feroce Saugdan che nel IX secolo attraversò quelle valli mettendole a ferro e fuoco, gli Abati di S. Vincenzo ebbero la cura di fortificarlo con una serie di castelli di cui sopravvivono importanti testimonianze.
Oggi è facile, per chi abbia la voglia di compiere piacevoli escursioni a piedi, imbattersi nei ruderi di torri quadrangolari, tutte collegate visivamente tra di loro, a guardia di quei nuclei abitati che mille anni fa ospitavano i coloni dell’Abbazia.
Così è per antico Fundilliano il cui Castello, con la chiesa di S. Eleuterio, si erge almeno dal X secolo tra le rocce della collina che fronteggia il borgo moderno; così è per il castello di Mennella che controlla la valle di Rio Chiaro, un insidioso varco verso la parte alta del Volturno; così è per quello di Cerasuolo Vecchio, il castrum Cerasolum citato un documento vulturnense del 957.
Poche, o comunque scarsissime, le notizie feudali. Alla fine del Quattrocento apparteneva, insieme a Cerasuolo, ai Pandone di Venafro. Poi, dopo la condanna di Errico Pandone alla decapitazione, passò a Girolamo Pellegrino nel 1528 e da questi al genero Cesare Scaglione che la cedette nel 1538 a Giovan Vincenzo Sanfelice. Alla metà del Seicento apparteneva ai Montaquila che lo vendettero ai Caracciolo di Miranda i quali lo tennero in feudo fino all’eversione della feudalità.
Ripercorrendo gli antichi assi di collegamento tra le numerose frazioni di Lagoni Mastrogiovanni, Trovarecce, Valle, Selvone, Cerasuolo, Mennella, Cerreto, Collemacchia, si scopriranno decine di edicole poste dalla pietà popolare a ricordo dei propri cari o per sciogliere un voto a questo o quel santo.
Gran parte è in forma di altari con le immagini sacre dipinte su maioliche variopinte, altre sono vere e proprie cappelle ai margini della strada, tutte comunque disposte in modo da fare costante compagnia ad ogni viandante.
A Cerasuolo vi è una chiesa neoclassica dedicata a S. Pasquale dal 1844, su disposizione del duca Pasquale Marotta che ne curò una totale restaurazione e conseguente ampliamento in sostituzione della precedente chiesa del 1778, dedicata a S. Giacomo. Si sa solo che il progetto fu redatto dall’architetto De Padova di Pescocostanzo.
Cessata la fase migratoria, Filignano ed il suo territorio oggi recuperano il tempo perduto. Nuove attrezzature per il tempo libero fanno da supporto ad una attività lavorativa che conserva il suo spiccato carattere artigianale, sebbene avanzate siano le tecnologie adoperate, senza perdere di vista le radici storiche.
E tra esse anche quello che lega Filignano al celebre Mario Lanza, al secolo Mario Cocozza, nato da padre filignanese che fece la sua fortuna prima in America e poi nel mondo per la sua eccezionale voce di tenore. E così ogni anno, in suo nome, si tiene un festival che diviene sempre più importante da quando i sindaci Enzo Mancini e Michel Rongione lo sostennero la prima volta passando poi il testimone ai sindaci che si sono succeduti nel tempo e che hanno sempre creduto in questa iniziativa insieme alla comunità filignanese e ad una attivissima Pro-loco.
Filignano è divenuto anche il riferimento per le comunità scozzesi in Italia grazie all’architeto John Coia che, nato in Scozia da genitori di Filignano, ha fatto del suo paese una nuova Scozia dove le tradizioni locali, specialmente quelle legate alla zampogna, si scambiano e si integrano con quelle di suonatori di cornamuse sempre più presenti nel territorio nelle più svariate circostanze.
Ad un turismo di rientro degli emigrati si aggiunge con sempre maggiore frequenza l’arrivo di ospiti alla ricerca di un territorio ove la semplicità della vita quotidiana sia il suo aspetto caratteristico.
Per questo motivo le nuove attrezzature turistiche che vanno sorgendo, senza stravolgere i ritmi consueti, sono una necessaria integrazione dell’esistente.
Una sola precisazione, Mario Lanza si chiamava all’anagrafe Alfred Arnold Cocozza, figlio di Maria Lanza , da cui prese il nome d’arte. Per il resto un buon affresco del nostro territorio. Complimenti Architetto.