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Fornelli
Il 10 ottobre 981 a Benevento si concludeva il processo che Giovanni III, abate di S. Vincenzo al Volturno, aveva avviato contro il conte isernino Landolfo il Greco che aveva usurpato per la seconda volta una serie di castelli di pertinenza del monastero vulturnense. Erano i castelli di Colli, di Vado Porcino ed il castellum quod Vantra nominatur, ovvero lo stesso castello che in altra parte della Cronaca viene chiamato castello de Vantra quod dicitur Fornellu. Così finiva una delle tante vertenze che gli abati sistematicamente aprivano contro chiunque provasse ad introdursi nei territori da loro amministrati. La notizia ci è utile anche per capire che Fornelli nel X secolo era già dotata di un sistema di difesa castellano. Sicuramente più piccolo di quello attuale, il centro urbano si arroccava attorno alla parte apicale di quel colle che, secondo la tradizione longobarda, fu messo sotto la protezione di S. Michele che è ancora titolare della chiesa madre, posta nella parte più alta del paese, proprio attaccata al Palazzo Baronale che certamente ripete in gran parte l’impianto dell’antico castello.
La parte più alta di Fornelli oggi è presidiata dalla massiccia mole del campanile che, secondo quanto è scritto sulla lapide che sovrasta l’accesso al supportico, fu fatto nel 1738: IMI SVMPTIBVS SA / CELLO ET SVB / SIDIO VNI.TATIS / FUNDATVM FVIT / A.D. MDCCXXXVIII. La chiesa è preceduta da un vasto loggiato dalla forma ariosa per la presenza di tre grandi arcate che avanti si aprono sulla grande scalinata rettilinea necessaria per raccordare il piano dell’area sacra con la piccola piazza, rendendola così simile al fronte di un tempio italico. Di un portale trecentesco rimangono solo i piedritti, mentre l’ampia copertura a volta è stata recentemente sostituita da un banale solaio piano che ne ha sconvolto l’architettura originale. L’interno è ben tenuto da don Giovanni che da quattro decenni è il parroco di Fornelli. E’ diviso in tre navate separate da grandi arconi che si reggono su due pilastri per parte. Dalla lapide sull’acquasantiera sappiamo che la chiesa, nella forma attuale, fu riconsacrata nel 1813: DOM / JAN.S CARMIGNANUS EP.VS / CAJET.S CONSACRAVIT ECCL.AM / & ALTAREM HOC MAJVS HONOR.M S. / MICHAELIS ARC.I DIE XXI AVG.I / MDCCCXIII AC VISIT.BUS EAM / IN ANNIV.O DEDIC.S INDVL.M / XL DIER.M CONCESSIT AT / HAEC JOS. ARCHIP.R TEDESCHI / SCVLPI CVRAVIT. Subito a destra in un quadro del 1781 vi è la Madonna del Carmine tra S. Andrea (ritratto mentre regge un pesce sullo sfondo della sua croce) e S. Antonio di Padova. L’altare successivo è dedicato a S. Nicola che richiama gli episodi del bimbo con la coppa salvato dal mare, i tre bimbi che escono dall’otre e le tre palle d’oro donate alle tre ragazze nubili. Nell’altare successivo la statua della Madonna delle Grazie, con il cuore fiammeggiante in mano, avrebbe bisogno di un radicale restauro per eliminare le stratificazioni di colori che nei secoli ne hanno nascosto i caratteri originali. Un S. Giuseppe del XIX secolo sta a lato dell’altare maggiore dove fa bella mostra di sé una consueta immagine di S. Michele che combatte Lucifero. Insolito, sull’altro lato, il busto di S. Donato vescovo che, per essere il protettore dei bambini, ha un’espressione tutt’altro che dolce. Nulla di particolare nei due altari della Madonna Immacolata e di S. Antonio, mentre il quadro della Madonna che soccorre le anime purganti riporta il nome dell’autore e l’anno di esecuzione: B. REALE PINX A.D. 1774.
Fornelli ha una parte antica che, perlomeno nel suo impianto, è ben conservata. Non esistono palazzi o edifici di particolare valore architettonico, ma l’alternarsi di piccoli spazi che non raggiungono mai il carattere tipico di una piazza, la rendono un piccolo labirinto che trova conclusione nel cammino di ronda che parzialmente mantiene il carattere originale. Oggi si chiama modernamente via del Belvedere per l’evidente possibilità di guardare sul bel paesaggio circostante, ma in origine costituiva l’utile raccordo tra le torri circolari che si sono miracolosamente salvate dai tentativi di trasformazione urbanistica che, con la scusa delle necessità di accesso, hanno squassato la gran parte dei centri molisani. Anzi, la cinta muraria di Fornelli è tra le meglio conservate, anche se tutte le torri sono state adattate alle esigenze di chi vi abita o vi tiene semplicemente la cantina.
Seguendo questo raccordo a misura d’uomo si giunge alla piccola piazza che anticipa la corte del palazzo baronale. La parte più antica di esso certamente non è quella che appare a prima vista, perché il nucleo da cui si è generata tutta la costruzione dovrebbe corrispondere all’area che è immediatamente contigua alla chiesa di S. Michele Arcangelo. Il palazzo si è allungato nel tempo seguendo la linea esterna delle mura urbane. Conquistando ed integrandosi nelle torri angioine, trasformate peraltro in colombaie, fino a comprendere integralmente anche la porta principale del paese, ha raggiunto una forma che in definitiva lo rende tra le costruzioni più caratteristiche del territorio. E se l’interno è stato sostanzialmente trasformato anche per le solite vicende ereditarie che interessano dappertutto il patrimonio monumentale privato, tuttavia conserva una piacevole articolazione architettonica. Sottopassandolo si esce fuori dal paese, dove è il monumento ai caduti realizzato nel 1929 a ricordo dei martiri della guerra 1915-18.
Qui l’antica taverna di un tratturo che non c’é più, è divenuta uno dei bar più frequentati del paese insieme all’altro che si trova nelle cantine del palazzo baronale e che si intitola alle sette torri di Fornelli.
Di fronte la chiesa di S. Pietro Martire con il bel portale rinascimentale e con l’interno di un’architettura dignitosa resa graziosa da un bell’altare barocco dalle calde tonalità amaranto e arricchito dal paliotto dai pregevoli intarsi marmorei. A lato due statue di poco valore. Mi incuriosisce il fatto di trovare insieme a S. Lucia anche S. Gerardo, famoso per il miracolo delle ciliege che fece maturare d’inverno.
Chiedo alla signora Antonietta, che gentilmente mi ha aperto la chiesa, il motivo per cui S. Pietro Martire, che sta sull’altare, non ha il coltello conficcato sulla testa. Con molta naturalezza mi dice che la colpa è della nicchia troppo bassa. Però il giorno della sua festa, il 29 marzo, il coltello viene messo al suo posto.