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Miranda

Le fonti sono particolarmente avare di notizie sulle origini di Miranda, il paese sicuramente più pittoresco della provincia di Isernia per la sua caratteristica positura su una parete rocciosa.

Negli anni ottanta mi assunsi la responsabilità di insistere in una colorazione delle facciate delle case che fosse rispettosa della consuetudine antica di differenziare tutti i prospetti in rapporto alle singole proprietà immobiliari. Miranda, a differenza di altri paesi circostanti, ha le case intonacate e gli elementi lapidei appaiono solo nella definizione di loggette, loggiati, archi e balconi aperti verso la vallata che si chiude in fondo con i palazzoni della periferia di Isernia, fortunatamente molto lontani. In basso ancora si nota il tracciato dell’antica strada che portava al piano, sul cui ultimo tornante all’inizio del secolo passato fu realizzata la cappella di S. Rocco per ricordargli, ove ce ne fosse bisogno, di proteggere il paese dalla peste.

Del paese abbiamo qualche notizia dal Catalogo dei Baroni normanni perché vi apprendiamo che Roberto di Miranda lo amministrava per conto di Raul di Molise. Di questo Roberto non si sa nulla oltre che suo figlio Rao de Miranda nel dicembre del 1221 (all’epoca di Federico II) sottoscrisse un documento giudiziario in Isernia. Poi il silenzio più assoluto fino alla fine del secolo. Nel 1297 il feudo apparteneva in parte ad Andrea d’Isernia, cui successe il figlio Tommaso.

Alla metà del XV secolo fu dei di Somma che lo tennero, con alterne fortune, fino al XVII secolo quando passò prima ai Crispano e poi ai Caracciolo, dall’inizio fino alla fine del XVIII secolo.

Fino a qualche anno fa l’abitato di Miranda era dominato da quanto rimaneva di un antico castello. Un discutibile restauro ha cancellato ogni possibilità di conoscere la sua evoluzione storica perché la consueta mania feticistica di aggiungere elementi architetttoni decontestualizzati gli ha tolto pure l’anima. Così, togliendo l’anima al castello da una parte, facendo spazio e demolendo un’antica fontana del Quattrocento da un’altra parte, eliminando pure qualche portale settecentesco qua e là, Miranda ha perso molti pezzi, ma è riuscita comunque a conservare un suo fascino particolare. Soprattutto con la piazza della fontana dove si concentrano i bar del paese che sembrano fatti apposta per dare la possibilità ai paesani di controllare chiunque vi passi.

Da poco tempo Miranda ha anche un nuovo Municipio, proprio al centro del paese. Al suo interno, ma ben visibile dall’esterno, è conservato il rilievo funerario di Ramia Italia. E’ il busto di una donna avvolta in un mantello a pieghe che le copre la testa. La mano destra sembra mantenerne l’orlo in modo che possa apparire bene il volto che guarda fissamente di fronte. La mano sinistra, con un anello nell’anulare, lo regge sulla tunica. I capelli sono ben pettinati. In alto, sul riquadro privo di qualsiasi cornice, solo il nome della donna: RAMIA . L . L .ITALIA. Il bassorilievo costituiva la parte visibile di una sepoltura sistemata probabilmente nell’ambito di una piccola casa di campagna. Sulla base di rappresentazioni analoghe, come quella rinvenuta ugualmente a Miranda, è possibile datare la sua realizzazione nel I secolo avanti Cristo. Il cognomen Italia, anticipato dalla lettera L, è consueto a persone di condizione libera. Nulla si può ricavare dal nomen Ramia.

Prima che nel 2002 la famiglia Celli lo mettesse a disposizione del Comune, il bassorilievo era murato sulla facciata del loro casino in agro di Miranda. Era stato rinvenuto lì vicino alla metà del XIX secolo, come ricorda una rudimentale scritta scolpita dagli scopritori: EMILIANO E FELICIO RAMPONE AN 1851 LR SOTTO UNA QUERCIA.

All’interno del nucleo abitato è posta la monumentale Chiesa di S. Maria Assunta con il suo campanile dalla copertura a cipolla. Sulla facciata della basilica un’epigrafe ricorda una delle tante trasformazioni: DOMVM DEI DECET SANCTITUDO / PSALM. XCII / A.D. 1798. Più in alto: PIAE FIDELIVM OBLATIONES HANC FRONTE RESTAVRARVNT A.D. MXMXIX.

L’interno, a tre navate, per quanto dice l’epigrafe sopra il coro, sarebbe stato terminato nel 1819. Appare evidente che tutta la chiesa abbia una decorazione tipicamente settecentesca, ma di una chiesa realizzata sui ruderi di una precedente di cui già si ha notizia dal 1493. Della metà del Settecento certamente è il bell’altare fatto con marmi provenienti dalla Sicilia che, pur essendo intitolato a S. Antonio, ospita anche le statue di S. Vincenzo Ferreri (che, contrariamente al solito, non ha le ali e la tromba, ma solo la testa fiammeggiante ed il libro con l’invito a temere Dio e tributargli onore quia venit hora judiciis eius) e di S. Rocco (che, per essere il protettore dalla peste, regge il cartiglio: peste laboranti patronus eris). E’ uno degli altari laterali più belli dell’area isernina non tanto per la ricchezza della lavorazione, che comunque è notevole, quanto piuttosto per la sua architettura con le colonne a tutto tondo, dai capitelli compositi, in sensibile distacco dalla parete di fondo su cui si aprono le tre nicchie dei suoi titolari.

La chiesa, per essere dedicata all’Assunta, accoglie sull’altare maggiore la Madonna sostenuta dagli angeli, opera di buona scuola napoletana del XVIII secolo, forse di Giacomo Colombo. Sugli altari laterali, oltre statue di recente e banale fattura, si trovano anche immagini di un certo livello come quella della Madonna Regina, in cartapesta, o di S. Lucia o della Madonna Immacolata che, sorretta dal globo, schiaccia il serpente tentatore. Un rozzo viso umano caratterizza, invece, l’antica vasca battesimale, ritrovata murata in una parete della chiesa perché appartenente ad una fase più antica della costruzione.

Nulla si conosce delle origini della chiesa che, sicuramente prima del XVIII secolo era più piccola. Dall’elenco delle decime che si pagavano nel 1309 risulta che già esisteva una chiesa dedicata a S. Maria, insieme ad altre due dedicate a S. Giovanni e S. Nicola di cui si è persa ogni memoria.