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Pietrabbondante

Su Pietrabbondante si è scritto tantissimo e tantissimo ancora si scriverà perché allo stato attuale della ricerca siamo ben lungi dal poter dare una risposta definitiva ai numerosi quesiti che questo straordinario complesso archeologico, architettonico ed urbanistico continuamente pone. Chi avrà tentato di farsi un’idea precisa delle vicende di questo territorio leggendo la poderosa letteratura specialistica sull’argomento, probabilmente sarà rimasto da una parte deluso dalla congerie di interpretazioni contrastanti e dall’altra meravigliato per l’asprezza delle accuse che spesso si sono scambiate i sostenitori di questa o quella ipotesi storico-archeologica, perché molto spesso solo di ipotesi si è trattato.

Lo stemma civico di Pietrabbondante è formalmente un rebus ottocentesco che non rende giustizia al suo importante passato essendo formato da un campo azzurro su cui si stagliano tre picchi montuosi (le morge del Castello e dei Corvi) che proteggono il nucleo urbano e che simboleggiano la pietra, con le lettere b(…)nte, intervallate dal segno di un’onda del mare che sostituisce le lettere mancanti: (pietra)B(onda)NTE.

Colui che, un migliaio di anni fa, per primo si inventò il nome di Pietrabbondante sicuramente era rimasto impressionato dalla grande quantità di pietre lavorate che affioravano nel suo territorio. Sono convinto (ma occorrerà ancora del tempo e accurate ricerche archeologiche della fase alto-medioevale) che furono i Borrello, nel bene o nel male, a confermare tale nome al paese ed a restituire al suo territorio un ruolo determinante nell’ambito delle vicende politiche che caratterizzarono l’Italia Centro-meridionale intorno all’anno Mille.

Le vicende dei Borrello ci sono note soprattutto per un loro disegno ambizioso, in parte riuscito, di allargare il potere familiare fino alla valle del Volturno, a danno dell’antica Abbazia di S. Vincenzo al Volturno le cui cronache li definiscono sacrilegos raptores, peggiori dei Saraceni. Di loro non rimane traccia nell’architettura del paese. Solo la chiesa di S. Maria Assunta ultimamente ha restituito, durante lavori di restauro, un sarcofago che qualcuno ritiene essere stata l’ultima dimora di uno dei terribili conti di Pietrabbondante.

L’Assunta è una chiesa fatta in buona parte riutilizzando pezzi dell’epoca sannitica, come appare dall’epigrafe in lingua osca su un lato, ed è stata più volte trasformata nel tempo. Già nel 1666 l’antica chiesa era stata parzialmente demolita per dare posto alla nuova, ma nell’ANNO DNI MDCCLXXI, come si legge sulla facciata fu sostanzialmente ristrutturata anche con la realizzazione del bel portale centrale.

Dal Catalogo dei Baroni normanni sappiamo che tale Raynaldus de Petrahabundante esercitava il proprio dominio sulle terre di Campolieto, ma le origini dell’insediamento sono sicuramente pre-romane. Teodoro Mommsenn nel 1840 vi riconobbe il municipio dell’antica Bovianum Vetus, e scatenò una bufera archeologica che ancora non si placa.

Tracce di una cinta sannitica (sistematicamente smantellata dai Romani dal 293 a.C.) inizia dalla cima di Monte Saraceno per raggiungere le tre morge, veri e propri baluardi calcarei, che chiudono l’attuale centro abitato.

Non è del tutto chiaro quale fosse l’allineamento meridionale della fortificazione, ma sicuramente fuori di esso rimaneva tutto il complesso sacro che alla fine dell’ottocento ancora veniva chiamato la citta di Catunzia, probabile ricordo (ed io ne sono convinto) dell’antico termine osco di Akudundiad, romanizzata in Aquilonia, che Livio ricorda per l’eroico giuramento di quella gioventù linteata che si sacrificò nel momento della definitiva disfatta contro Roma.

Livio racconta che le dimensioni del recinto entro il quale nel 293 a.C. fu effettuato il giuramento di Aquilonia corrispondevano a 200 piedi (circa 55 metri): locus est consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens CC maxime pedes in omnes pariter partes.

In questo luogo oggi vi è uno dei più bei teatri ellenistici conosciuti. L’unico al mondo con tre file di sedili in forma anatomica. Il recinto che lo racchiude misura esattamente 55 metri, pari ai 200 piedi descritti da Livio.

Alle sue spalle, in perfetta assialità e in allineamento con la cima della retrostante montagna, il poderoso tempio italico, costruito applicando proporzioni euclidee di origine pitagorica. Il basamento dell’edificio sacro è planimetricamente un rettangolo aureo in cui il lato maggiore è medio proporzionale tra il lato maggiore sommato al lato minore ed il lato minore. In altri termini il rapporto esistente tra il lato minore ed il lato maggiore è identico al rapporto che intercorre tra il lato maggiore e la somma dei due lati del rettangolo. Ovvero qui è perfettamente applicato il cosiddetto rapporto aureo che fu il riferimento proporzionale dei più importanti monumenti sacri della cultura ellenistica.

Certo è che le cose per i Sanniti in generale, e per i Pentri in particolare, non andarono bene nel seguito. Basta pensare che ancora nel 126 a.C. vi era chi proponeva di espellere gli Italici da Roma, qualunque fosse il loro livello economico.

L’odio romano nei confronti dei Sanniti si esplicitò ancora di più nella sistematica negazione ad essi della cittadinanza anche in un momento in cui tale concessione veniva estesa ad altre popolazioni della penisola. Ciò provocò un vasto movimento che nell’ultimo quarto del II secolo a.C. si concretizzò in un organico movimento di rivolta che si concluse con le Guerre Sociali. Il Sannio fu totalmente distrutto e le poderose cinte murarie quasi totalmente demolite.

E’ ancora sconosciuto il motivo per cui il complesso di Pietrabbondante si sia in qualche modo salvato. Forse i Sanniti erano rimasti talmente pochi, per cui non valeva più la pena di infierire eliminando anche quelle testimonianze architettonicheche comunque potevano essere utilizzate dai nuovi e definitivi padroni che nell’area oramai avevano saldamente imposto la propria organizzazione municipale. Forse i Romani non si accorsero neppure che le piume e gli artigli di quelle aquile che ancora oggi segnano il limite dei sedili del teatro di Pietrabbondante continuavano a ricordare, ma solo alla storia, il nome di Aquilonia e gli eroi della gioventù linteata che nel suo recinto sacro avevano inutilmente giurato fedeltà al Sannio.