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Colli a Volturno
Accade che, pur rimanendo estasiati di fronte alla monumentale emergenza delle Mainarde, o pur fermandosi ad osservare la straordinaria dominanza di rocche e castelli che da secoli si affacciano a controllare la valle, o affascinati dal mutare dei colori del Volturno nelle varie stagioni quando alle acque scure e limacciose dell’autunno si sostituiscono quelle cristalline, ricche di preziose sfumature, dell’inverno e della primavera, non si abbia la possibilità di comprendere fino in fondo quale sia stato il rapporto e quali siano i significati determinati dalla presenza dell’uomo attraverso i millenni.
Un confine di proprietà, un tracciato stradale, una chiesa, una cinta muraria, o dei blocchi di pietra sistemati in un particolare modo, nonché i nomi dei luoghi che per tradizione orale vengono tramandati, sono elementi utilissimi per ricostruire vicende che molto spesso neanche i libri di storia riportano.
Colli a Volturno, per esempio, deve la sua esistenza a due circostanze particolari: da una parte la catena delle Mainarde, insuperabile agevolmente per chi dal Lazio doveva spostarsi verso la Puglia, dall’altra la conformazione della valle del Volturno che proprio presso il nucleo abitato di Colli presenta il massimo restringimento. Si seguiva una via che oggi ancora si chiama romana. Secondo alcuni il nome le deriva dai conquistatori romani. Io non escluderei, invece, un riferimento alle guarnigioni di arimanni (come nel caso, sicuramente riferibile ad essi, della cosiddetta romana di Isernia, che in epoca normanna si chiamava armannum).
Nella parte alta di Monte S. Paolo, là dove la singolare conformazione orografica determina un lago stagionale che d’estate si trasforma in un pascolo verdeggiante, tra la boscaglia, si nasconde una muratura che chiude l’apice della montagna formando una fortificazione che sicuramente le popolazioni del Sannio fecero almeno nel VI secolo prima di Cristo. La conquista romana apportò definitivi cambiamenti nella struttura economica del territorio per la capillare utilizzazione di esso principalmente per scopi agricoli ed in via subordinata per quelli pastorali. Una grandiosa impresa, come quella dell’acquedotto che dalle sorgenti del Volturno, fu completata per portare l’acqua alle ville ed alle campagne venafrane attraversando in galleria il territorio di Colli.
Michele Raddi conosce ogni angolo di questo territorio e mi ha fatto da guida quando con Eiki Solin e Mica Kajava siamo andati alla ricerca dei cippi romani che, murati a fare da stipiti ed architravi di dirute costruzioni, ancora ricordano che ad otto piedi da un lato ed altrettanti dall’altro lato del condotto era vietato tenere qualsiasi tipo di coltura: IUSSU IMP(eratoris) CAESARIS / AVGVSTI CIRCA EVM / RIVOM QVI AQVAE / DVCENDAE CAVSA / FACTVS EST OCTONOS / PED(es) AGER DEXTRA / SINISTRAQ(ue) VACVVS / RELICTVS EST.
Dopo la disfatta dell’Impero Romano seguì la riorganizzazione del territorio ad opera dei principi longobardi Paldo, Tato e Taso ai primi dell’VIII secolo. Gli scavi in corso presso l’abbazia, nonché le ricognizioni sull’intero territorio, dimostrano come capillare sia stata l’azione di riqualificazione condotta dai monaci di S. Vincenzo.
Monte S. Paolo, ove era la rocca sannitica, fu intitolato a quel santo perlomeno dall’VIII secolo, quando il territorio faceva parte del ducato longobardo di Benevento.
Qui si ritrovano blocchi lapidei che recano elementi di sicura matrice longobarda come la vipera che, combattuta da S. Barbato vescovo di Benevento, fu reinterpretatain chiave cristiana a ricordo dell’episodio di cui S. Paolo fu protagonista quando, giunto naufrago a Malta, fu miracolosamente salvato dal suo morso.
La presenza di coloni a Colli al Volturno (il cui rapporto di concessione del terreno veniva riportato su un libellus, da cui poi il termine di livello per questo tipo di contrattazione), è documentata nel Chronicon a partire almeno dal 972, ed è confermata per il 981 e per il 988. Ed è a quest’epoca che deve farsi risalire la costituzione di un organico sistema di difesa attorno al nucleo abitato che ancora oggi esiste e che originariamente fu dedicato S. Michele Arcangelo attribuendo il nome di Colli Sancti Angeli.
Del nucleo longobardo si ritrovano tracce non solo nella parte inferiore delle mura dell’abitato, ma anche nella disposizione urbanistica. Il nucleo di Colli, sebbene più volte rimaneggiato dopo eventi disastrosi come il terremoto del 1349, presenta ancora elementi sicuramente posteriori alla fondazione longobarda, ma comunque anteriori alla introduzione della polvere da sparo nei sistemi bellici. Uno degli elementi più evidenti è la torre circolare, parzialmente inglobata dalle case che, superando la linea muraria, si sono sovrapposte in epoche più recenti.
Fuori del centro antico, sulla strada che porta ad Isernia, sta la quattrocentesca chiesa dedicata a S. Leonardo di Limoges, il protettore dei carcerati. Bello il portale originale in pietra brecciata rossa. Il suo interno rifatto completamente nel 1874, come ricorda la lapide all’ingresso, fu affrescato dal pittore molisano, originario di S. Pietro Infine, Pietro Brunetti che vanta una grande quantità di opere in tutta la regione.
Ma anche a Colli gli aspetti fisici del paese si fondono con la memoria storica. E chi aveva avviato una straordinaria e puntuale ricerca sul suo territorio, sulle motivazioni della sua origine, don Lucio Ragozzino, purtroppo ha lasciato la sua opera incompleta. Ho avuto il privilegio di scrivere il suo epitaffio dopo la sua immatura scomparsa: Cantò l’Altissimo consacrando la sua vita agli altri. Tenne vivi gli insegnamenti benedettiniquando cercò le radici della sua gente lì dove nasce il suo fiume. Visse sognando la Gerusalemme Celeste che scenderà splendente sulla Terra vulturnense. Qui, sul Colle dell’Angelo, riposano le membra del sacerdote Lucio mentre il suo spirito si dirige verso le stelle. Io spero che un giorno qualcuno abbia la voglia di mettere mano alle sue carte incomplete e terminare le ricerche che entusiasticamente aveva avviato.