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Bagnoli del Trigno

da Franco Valente, Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari 2003

Quando si vuole cercare l’origine antica di un paese vi sono in genere due strade da percorrere : o i toponimi e le rovine degli edifici antichi, o i documenti storici.

 

Bagnoli deriva il suo nome da un antico “balneolus” che è sufficiente per farci capire che nei pressi del Trigno, il fiume che si insinua nel suo aspro territorio, doveva esistere una villa romana attrezzata con una qualche piccola piscina, forse termale. Le frane e l’abbandono ci hanno nascosto il luogo di questa villa rustica ed il nome del patrizio romano che la realizzò. Ma il toponimo superò le contingenze della storia e servì a dare il nome al paese che sarebbe nato, prima dell’anno mille, arroccandosi sulle più belle morge di questa impervia vallata, oggi incisa da una brutta, ma comoda, strada di fondovalle.

Invece, un documento su cartapecora, che da oltre mille anni si tiene nell’archivio di Montecassino, costituisce la carta d’identità di Bagnoli, perché certifica che il paese esisteva sicuramente nell’anno 981 e che a quell’epoca esso era già uno dei perni del sistema castellano del ducato di Benevento, quando la regione molisana territorialmente non si era ancora definita.

Una delle più belle descrizioni dei beni che i monaci di Montecassino possedevano è proprio quella che Pietro Diacono ha raccolto nel suo celebre “Registrum” dove riferisce della cella di S. Benedetto che, insieme a quella di S. Lucia, era in oppido Baniolo . Sulla scorta delle considerazioni del grande storico settecentesco di Montecassino, Erasmo Gattula, si ritenne che questa cella coincidesse con quella di Sanctus Benedictus de Iumento albo (S. Benedetto del Cavallo bianco) i cui avanzi ancorasi trovano nei pressi di Civitanova. Non so se la questione può dirsi definitivamente risolta, ma prima o poi qualcuno la riaprirà e saranno gli storici e gli architetti a disputare per giungere a qualche conclusione definitiva. A noi interessa sapere che in quell’anno Bagnoli era munita di castello ed era difesa da un sistema articolato di mura perché se il nucleo viene definito oppido necessariamente doveva esservi una fortificazione. E se nel 981 vi era una fortificazione va da sé che l’insediamento era perlomeno coevo e quindi longobardo. Per questo sono convinto che la chiesetta di S. Michele, proprio perché dedicata al principe degli arcangeli, il santo guerriero dei longobardi, sia ciò che rimane di un piccolo monastero realizzato fuori dell’oppido di Bagnoli prima dell’anno Mille.

Il Catalogo dei baroni, poi, ci aiuta a capire che in epoca normanna, quando si formò la contea di Molise, tra gli abitanti di Bagnoli vi erano anche personaggi accreditati a corte come quel Berardus de Balneola che intorno al 1185, insieme ai fratelli Robberto et Tustaiano, teneva in feudo il suo paese e quelli vicini di Pietracupa e Castelluccio provvedendo al sostentamento di otto militi e una decina di servienti nell’esercito.

Bagnoli deve la sua struttura urbana alla morgia che ne ha costituito l’origine ed il limite fisico. E così, quando fisicamente è mancato lo spazio, dopo aver sfruttato ogni più incredibile ripiano dello sperone roccioso, le case hanno cominciato a girargli attorno come i bambini che non sanno staccarsi dalla loro grande mamma.

Oggi il castello è stato conquistato dal popolo ormai dimentico delle violenze e dei soprusi dei signori che per oltre mille anni lo hanno tenuto modificandolo e adattandolo alle proprie esigenze di difesa e di controllo del territorio. Così come fecero i Sanfelice che tennero nello stemma di famiglia sei merlotti senza becco e senza zampe per ricordare a tutti che avevano battuto nemici in battaglia e li avevano privati delle armi.

Un castello che ritorna a vivere con la gioia dei bagnolesi che ne vanno orgogliosi non solo perché per essi rappresenta la riappropriazione materiale di un bene che moralmente apparteneva loro, ma anche perché si sentono meno oppressi da quell’edificio che era divenuto una immensa e pericolosa pietraia.

Ma Bagnoli non è solo il suo castello. E’ anche l’articolarsi incredibile dei suoi vicoli, delle sue piazze, dei merletti lapidei che contornano le finestre di case che consapevolmente sono alla vigilia del proprio suicidio architettonico o che sono finiti a vergognarsi in qualche giardino privato tra Biancaneve ed i sette nani.

Bagnoli è la deliziosa chiesetta cinquecentesca di S. Caterina d’Alessandria dove Leonardo Filacchione e sua moglie Antonia vollero eternamente gratificare la Madonna, S. Antonio Abate e S. Leonardo facendosi rappresentare ai loro piedi per ricordare ai posteri che la mena delle pecore in Puglia aveva loro permesso di aprire quella cappella laterale e guadagnare così più rapidamente il premio celeste.

Bagnoli è anche la sua chiesa dedicata al papa Silvestro che, insieme alla Madonna Incoronata, alla Madonna Addolorata, ai santi Cosma, Damiano, Lucia, Antonio e Michele Arcangelo che gli fanno compagnia, trema all’idea che quelli della Soprintendenza stanno per mettere mano al suo interno e che, con la scusa del restauro, si preparano ad una ennesima pulizia etno-antropologica.

Bagnoli è il portale di S. Silvestro nel cui archivolto le parole della Madre di Dio uscendo dalla sua bocca si trasformano in deliziosi girali fitomorfici e tralci d’uva che finiscono nel vaso della Sapienza.

Bagnoli é, infine, il suo straordinario campanile che ancora fa giungere la sua forma architettonica nella vallata per affermare che le sue campane stabiliscono la lunghezza delle ore oppure che è il momento della letizia o quello della tristezza.