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Cantalupo nel Sannio
Io qui, dove Apenin la fronte altera
mostra carca di neve a mezza estate.
Con questi due versi Angelo di Costanzo, uno dei massimi letterati e storici del Cinquecento napoletano, descriveva lo scenografico fondale matesino di Cantalupo. Siamo nel 1549 ed egli si trovava nel paese, di cui era anche feudatario, perché vi era stato confinato dal viceré Pedro di Toledo che non lo voleva a Napoli per alcuni atteggiamenti evidentemente non propriamente graditi. Qualche tempo prima, nel 1542, sempre da Cantalupo, Angelo di Costanzo scriveva a Pietro l’Aretino esprimendo apprezzamento per le opere “che produce il glorioso e felice ingegno vostro. E aggiungeva: M’hanno in tal modo abbastinati e sollevati gli pensieri, che se non fosse loro opposto il contrapeso d’una lite che m’é mossa sopra un Castello ch’io ho, già due anni sono, m’avriano per forza menato in Venezia”.
Di questo castello che turbava i pensieri del di Costanzo non vi è quasi più alcuna traccia, se non gli avanzi delle cortine perimetrali che oggi accolgono un gradevole giardino dai maestosi e pluricentenari cedri che viene ben tenuto dalla signora Nunù Carile.
Sicuramente, come si riferisce nel Registrum di Pietro Diacono e nel Chronicon cassinense, Cantalupo era già fortificato con un castello nell’anno 1019 ed i suoi abitanti veneravano S. Andrea Apostolo nella chiesa a lui dedicata: abitatores infra finibus de Bulano in castello qui Cantalupo vocatur … et ecclesia S. Andreae de Cantalupo, territorio bovianense. Anzi, forse, un insediamento consistente doveva esserci già da qualche decennio prima se questo è il Cantalupo di cui si parla in un documento longobardo della fine del X secolo insieme a Caccavone e Agnone.
Dai documenti normanni con l’elenco dei baroni sappiamo che nel XII secolo Guglielmo de Pesclo teneva in feudo Pesclum et Cantalupum per conto di Guidone de Guasto, e quindi dobbiamo presumere che una qualche struttura castellana dovesse essere ancora esistente.
Poco si capisce dall’attuale impianto urbano quale sia stata la motivazione del suo nascere, ma sicuramente quel luogo ebbe una importanza strategica rilevante fin dall’epoca della riorganizzazione territoriale romana dopo la conquista del Sannio.
Michele Carroccia, attento studioso del sistema stradale romano di questa parte interna della penisola italiana, analizzando le stationes dell’antica Tabula Peutingeriana, ci assicura che nei pressi dell’attuale taverna di Cantalupo vi fosse Ebutiana, segnata nell’antico stradario nelle vicinanze del diverticolo Ad Lefas, ovvero del bivio che permetteva di arrivare, passando per il valico di Roccamandolfi, nella città matesina di Alife, nel versante campano. E quel luogo per tutto il medioevo continuò ad essere un’importante stazione di posta sulla strada che seguiva l’itinerario tratturale dove si incrociava con la strada che da una parte andava a Macchiagodena, per raggiungere poi Sessano, e dall’altra a Roccamandolfi per superare il Matese. Oggi lì, dove si fermavano i viaggiatori, vi è una accogliente osteria, La Taverna, che, come quella di Del Riccio nel centro urbano, rappresenta una meta gastronomica che sicuramente lascia un buon ricordo.
A Cantalupo la chiesa parrocchiale è dedicata al SS. Salvatore e Masciotta lapidariamente annota che il suo interno è diviso in tre navi, della lunghezza di m. 31, della complessiva larghezza di m. 18, e di un’altezza adeguata. Non offre nulla di notevole. Invece l’interno è bello e viene tenuto splendidamente dal parroco don Gerardo, continuando nell’opera di don Giuseppe di cui rimane vivo il ricordo nei paesani.
Bello il busto di S. Anna con Maria Bambina, anche se un cattivo restauro ne ha stravolto i colori originali. Sugli altri altari S. Teresa del Bambin Gesù, S. Rocco. Bello pure il portale con i caratteri stilistici di un settecento che nel Molise in qualche modo assume un che di peculiare per la sua estrema sobrietà.
Camminando tra i vicoli su cui frequentemente si aprono portali settecenteschi, si scopre che i De Gaglia, personaggi politici di rilievo a Campobasso e nel Molise, nacquero e vissero in questo paese. Ma certamente si rimane favorevolmente colpiti quando appare la casa di Alfonso Perrella che, come si scopre da una epigrafe posta sul portale, era di Cantalupo. Chiunque abbia studiato il Molise necessariamente deve aver letto le opere di Alfonso Perrella che osservò la sua regione da instancabile viaggiatore e frequentatore dei salotti ottocenteschi più ospitali. Chi non conosce le sue Effemeridi o L’antico Sannio non può dire di sapere di Molise. Oggi vedere mezza facciata in deperimento e l’altra metà con un restauro che avrebbe meritato un po’ più di attenzione lascia un velo di malinconico disappunto facendo immaginare dispute tra eredi poco rispettosi della memoria storica di così importante personaggio. Ma è una sorte che subisce la gran parte degli edifici di famiglie che ormai hanno lasciato da tempo la terra di origine.
Andando via da Cantalupo si passa per la bella ed ariosa piazza articolata su vari livelli alberati e che accoglie il suo monumento ai caduti da una parte, il negozio di alimentari della signora Annina dall’altra, qualche studio professionale ed il piccolo bar che, manco a dirlo, si chiama “della piazzetta” e che costituisce il primo rifugio per chiunque vi arrivi ed abbia voglia di un buon caffè. Scendendo verso la Statale si lascia la chiesetta dell’Addolorata sulla cui piccola facciata una antica maiolica con la Madonna trafitta dalle sette spade ricorda: O VOS OMNES QUI TRANSITATIS PER VIAM ATTENDITE ET VIDETE SI EST DOLOR SICUT DOLOR MEUS . DITE UN AVE MARIA.