Tags
Related Posts
Share This
Chiauci
Chiauci è abbastanza nota per una diga che si sta costruendo da qualche decina di anni in quella parte del suo territorio che è attraversato dal Trigno e che non viene mai completata. Ma Chiauci è anche un paese di antiche origini perché esisteva sicuramente in epoca normanna. Si chiamavaClàvicia e ne era feudatario, per conto del conte di Molise, Oderisio de Rigo Nigro esponente di una famiglia che conservò i possessi anche nella successiva epoca sveva quando Tommaso de Rigo Nigro era tra i baroni di Terra di Lavoro a cui furono affidati prigionieri lombardi nel 1239. All’epoca di Carlo d’Angiò fu dei Bucca che l’ebbero in feudo tramite Bertrando nel 1269.Poi passò ai del Bosco e ai Montagano e, conseguentemente, a Ferrante de Capua le cui figlie, dopo la sua immatura morte, la cedettero ai Sanfelice nei primi decenni del XVI secolo. Chiauci fu data in feudo ai Greco all’epoca del vicereame di Pedro de Toledo. Comprata dai Petra nel 1626, poi passò ai Capuano e successivamente ai de Mari.
Fuori della cinta muraria difensiva vi era solo una cappella dedicata a S. Sebastiano che, come al solito, in alternativa a S. Rocco, si trova sempre nelle vicinanze di una delle porte di accesso al paese. Ampliata nel 1860 per ospitare la confraternita del Santo Rosario, la chiesa fu trasformata secondo la moda neoclassica e non sembra avere nulla di particolarmente interessante. Però la presenza di una croce stazionaria sul piccolo slargo che costituisce il suo sagrato induce a qualche riflessione. Queste croci vengono definite viarie per il fatto di essere poste su una strada. Io non ne sono molto convinto perché la loro presenza è sempre direttamente collegata ad una chiesa, spesso laicale. Nel Centro Italia il movimento laicale delle confraternite trova radici antiche, prima del Mille, in uno associativismo spontaneo che si caratterizzava spesso in fenomeni locali concentrati proprio attorno ad un piccolo edificio sacro. I suoi componenti erano spesso vincolati essenzialmente da rapporti di vicinato che facevano capo ad un sedile o ad una piazza o ad un borgo anche esterno alla città. Esse prendevano il nome di Staurite per il diritto della chiesa cui facevano riferimento di innalzare una propria croce. Ora, anche se la costruzione della nostra chiesa (o l’innalzamento in generale delle croci molisane su una colonna) sia databile indifferentemente dal XIV al XVIII secolo, la loro esistenza non può che trovare riferimenti proprio dall’antica tradizione delle Staurite.
Mi accompagna il sindaco Achille D’Andrea che, prima di cominciare il giro, mi fa vedere l’archivio comunale con la piccola raccolta di documenti manoscritti della fine del XVIII secolo. Inutilmentecerchiamo l’apprezzo del Settecento, così preferiamo fare il giro del paese. Alla parte fortificata si accedeva da tre distinte porte e perciò la strada interna si chiama via Tre porte. La parte muraria di quella principale ancora c’é e conserva i cardini in pietra che reggevano i perni delle due ante di cui, invece, non rimane nulla. Sull’arco, una pietra con la data 1700 non ci spiega perché vi sia stata posta. Sul lato di sinistra una snella torre circolare con base a scarpa, saldamente attaccata a quello che rimane della poderosa cinta muraria, è diventata torre campanaria della contigua chiesa di S. Giovanni Evangelista. Sulla destra, nell’anno XV del Fascio, in sostituzione di quella originaria, fu elevata una quadrata torre civica che porta in rilievo il grande stemma del paese (un’aquila che regge due chiavi incrociate che secondo il suo antico ideatore dovrebbero dare una spiegazione all’origine del nome) e la significativa ROMA DOMA di mussoliniana memoria.
Subito dopo la porta urbica la modesta facciata della chiesa di S. Giovanni Evangelista, preceduta da una banale scalinata, invita ad entrare. La sua cura è affidata a don Pietro Monaco che è parroco anche di Pescolanciano che, come Chiauci, appartiene alla diocesi di Trivento. L’interno (come si ricava dall’architrave del portale) è dal 1724 impostato su tre navate in una gradevole proporzione. All’intorno le statue dei santi ci richiamano al culto che di essi si fa nel territorio di Chiauci. Così si trova S. Onofrio, il santo eremita ricoperto solo dei suoi peli, per ricordare che nel bosco che porta il suo nome vi è una cappella a lui dedicata. Nella navata di destra vi è un S. Giorgio, protettore del paese, che uccide il drago. Subito dopo una piccola cappella accoglie la statua di S. Michele Arcangelo che tiene sotto i suoi piedi un Lucifero che sembra piuttosto un pesce mostruoso. Poi vi è S. Sebastiano, forse proveniente dalla sua antica chiesa. Mancava la statua di S. Giovanni, ma si è rimediato recentemente con la realizzazione di un monumentale gruppo statuario dello Stabat Mater.
Camminando per i suoi vicoli, specialmente d’inverno, si capiscono i problemi che ha il sindaco. All’abbandono segue inesorabilmente il degrado ed il pericolo di crolli. Lo scongiuro a non fare ordinanze di demolizioni e mi rinnova la preoccupazione per la pubblica incolumità. Dovunque lucchetti serrati che proteggono porte e cancelli. Così è per il cancello cadente della gradonata del castello, mantenuto dai pilastrini sui quali da tempo sono appoggiate due palle di cannone in pietra che hanno perso anche l’originaria sfericità. A lato uno scudo lapideo molto rovinato mostra un lungo stivale rigido. E’ il blasone dei Gambadoro che di Chiauci furono gli ultimi feudatari quando ormai il castello da tempo aveva perso l’originaria funzione difensiva e si era trasformato in una poderosa residenza baronale. Oggi dell’antica possanza il castello conserva solo il volume ormai compromesso da una serie incredibile di banali ed irriguardose sovrapposizioni e trasformazioni. Dai vicoli, privati delle cortine difensive medioevali che ne costituivano il fondale, si guadagna uno straordinario panorama. Da una parte si vedono le pareti rocciose che fra qualche anno si specchieranno nel lago artificiale della diga. Dall’altra la catena dei monti dell’Abruzzo che fanno da sfondo a Monte Lupone, che alla metà del XII secolo era feudo di Pandulfo de Monte Lupone che lo teneva per conto di Berardo de Calvello di cui era sub-feudatario.