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Macchiagodena
Il documento più antico che parli di Maccla de Godino è conservato ad Isernia perché Macchiagodena era tra le terre che nel 964 appartenevano ai conti longobardi Pandolfo e Landolfo che a Isernia avevano il loro castello.
Quaranta anni dopo, ai tempi dell’abate Maraldo di S. Vincenzo al Volturno, poco prima della fine dell’anno 1003, Maria, figlia del defunto conte Roffredo e moglie di Potefredo, donava all’abbazia vulturnense una chiesa dedicata a S. Apollinare, in diocesi di Boiano, situata ad Maccla Godini. Il documento della donazione parla anche di altri beni posti infra ipso castello de Maccla Godani.
Di questa chiesa non si ha traccia nei documenti successivi. Un elemento importante per capire che la chiesa doveva essere piuttosto importante è costituito da un possente leone romano che da parecchi secoli si trova a fianco della fontana sotto il Castello. Non ci vuole molto per capire che si tratta di un pezzo proveniente da un mausoleo funerario romano e riutilizzato, secondo una diffusa consuetudine benedettina, per ornare il portale di una chiesa o di un monastero. Quindi è molto probabile che in origine stesse a fare la guardia al portale della chiesa di S. Apollinare, dovunque essa si trovasse.
Macchiagodena ha una strana conformazione urbana. Sembra che nel corso del tempo vi sia stato un ripensamento nella strutturazione della cinta difensiva o semplicemente un ampliamento inaspettato intorno al XIV secolo. Il castello, come al solito, occupa la parte apicale del paese e si appoggia su uno spuntone di roccia che scende a strapiombo sul lato occidentale a godere di una naturale protezione. Su quel lato perciò non vi sono le torri che invece appaiono sui lati più facilmente attaccabili. Il castello, per questo, ha una forma irregolare, vagamente trapezoidale, con due torri d’angolo ed un poderoso torrione dalla forma ellittica che una volta sicuramente era il mastio. Nel tempo ha perso il carattere difensivo e le torri intorno al XVII secolo furono mozzate per essere adattate alla residenza. Poi il terremoto del 1805 ne mise in crisi la struttura e da allora fu sostanzialmente modificato per garantire almeno la sopravvivenza statica. E’ un castello che conserva il suo fascino antico perché la famiglia De Salvio che lo possiede ha avuto la sensibilità di non arrecarvi inutili modernità, anche se un suo restauro appare sicuramente necessario. Anna Maria De Salvio, nell’altra bella casa palaziata di Macchiagodena, conserva la memoria storica dell’antica fortezza e delle sue traversie feudali nel cartulario dove sono raccolti gli apprezzi che il tavolario Orazio Guidotti fece nel 1777. Costui veniva da Napoli e aveva deciso di dimorare, per tutto il periodo della elencazione e della valutazione dei beni, presso la Taverna di Cantalupo ed ogni giorno era trasportato con la carrozza a Macchiagodena dove procedeva ad una sistematica ricognizione dei fondi e degli immobili urbani facendosi accompagnare dalle persone più responsabili del paese che, a fine giornata, dovevano sottoscrivere con giuramento il verbale che conteneva le loro dichiarazioni.
Così, da un verbale sottoscritto il 18 maggio 1777 dal sindaco Giovanni Noviello (sottosegnato con la croce dagli altri amministratori dell’epoca che non sapevano leggere e scrivere) sappiamo che a Macchiagodena: vi sono tre porte, cioè la Porta Maggiore denominata del Mercato, la Porta Nuova, e la porta vecchia. Vi sono le seguenti pubbliche strade, cioè la strada denominata Piedo Castello, seguendo per la Chiesa Arcipretale, ed indi per quella denominata il Ballyolo, seguendo per lo gradone, l’altra detta vitale si viene alla Porta Vecchia di dove salendo si passa per la piazza, detta la Guardia, così salendo si giugne alla Porta del Mercato, dove vi è il largo con una teglia, un ulmo, due pioppi con una fontana manufatta di acque perende, per dove s’inoltra la strada pubblica detta della Taverna, e s’incamina per quella chiamata la Ciurcia, e Croce. Che in fede del vero vi abbiamo formata la presente, e così riferimo con giuramento noi qui sotti, e croce segnati Governanti di questa università di Macchiagodena.
Da un altro verbale, sottoscritto allo stesso modo, sappiamo che nel territorio di Macchiagodena vi erano la chiesa arcipretale sotto il titolo di S. Nicolò di Bari dove vi sono iscritti il rev.do sig. don Giuseppe di Cesare arciprete, e cinque altri partecipanti con due altri sacerdoti cappellani extra clero con quattro altri sacerdoti semplici. Vi è la chiesa di S. Leonardo confraternita, vi è ancora la chiesa di S. Rocco unita col pio ospidale, vi è la chiesa di S. Lorenzo, e dette chiese sono situate dentro il ristretto d’essa terra. Extra moenia vi sono l’infrascritte chiese, cioè la chiesa di S. Stefano… la chiesa di S. Giovanni Battista, …la chiesa di S. Matteo,e S. Antonio Abbate,…la chiesa di S. Domenico, …la chiesa di S. Vito, …la chiesa di S. Maria a Pantano… Vi è in essa terra la confraternita della Santissima Concezione eretta dentro la Chiesa dell Spirito Santo di detto Monistero. Vi è la confraternita del SS. Rosario, e Corpo di Cristo eretta dentro la chiesa arcipretale.
Davanti alla chiesa di S. Lorenzo sta ferma una bella croce stazionaria. La data del 1719, che si legge sul dado che regge la colonna, probabilmente si riferisce ad un suo rimontaggio, perché il carattere stilistico del Cristo Crocifisso e delle terminazioni trilobate farebbero pensare ad un’epoca molto più antica. La particolarità di questa croce, però, sta nel fatto che nella parte retrostante, verso la chiesa, non vi è la solita immagine del Cristo Trionfante o della Madonna Regina, ma quella del diacono Lorenzo che regge la graticola che servì per il suo martirio.
Vado spesso a Macchiagodena per il piacere di incontrare Fausto Gianfranceschi che da Roma ha trasferito la residenza estiva nella casa che tiene insieme a sua moglie Rosetta. E’ un piacere la conversazione che necessariamente si trasforma in una ricerca di cose poco conosciute del territorio, dai Sanniti ad oggi. Così ho scoperto che Macchiagodena è una preziosa postazione per visitare il resto del Molise perché si trova non molto lontano dalla statale che porta anche a Sepino, sulla strada che va a Benevento, ma nello stesso tempo è anche il passaggio quasi obbligato per raggiungere, dalla Valle del Biferno, Frosolone e l’interno poco frequentato del territorio dell’Alto Molise.