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Pescopennataro
Non vi sono dubbi che il nome del paese derivi dalla duplice circostanza di essere posizionato su una grande roccia (pesclum o peschio) e che tale roccia abbia la forma appuntita (pinnata).
Eventi disastrosi dovuti alla follia dell’uomo ma anche alle forze della natura hanno di fatto cancellato il disegno dell’impianto del nucleo antico di Pescopennataro, sicché, nella parte più alta della roccia che si affaccia sulla valle del Sangro, rimangono deboli segni delle fondazioni di un antico castello, sicuramente esistente in epoca normanna, ma probabilmente di origine longobarda come altre fortificazioni di questa parte ancora sconosciuta del meridione italiano.
Sappiamo che Raynaldus filius Anibalis intorno alla metà del XII secolo teneva in feudo, nella Terra Burrellense,Pesclum Pignaturum quod est pheudum III militum. E se Pesopennataro era un feudo di tre militi, la rendita era pari a 60 once d’oro, ovvero tre volte maggiore di quelle dei paesi circostanti. Di questo Rainaldo abbiamo qualche notizia perché nel 1154 era presente a Termoli per sottoscrivere una donazione del conte Roberto III di Loritello e nel 1166 era a Belmonte del Sannio a sottoscrivere un’altra donazione fatta con il consenso di Oderisio dei conti Borrello alla chiesa del beato Lorenzo de Carcamo. Ugualmente del sistema di difesa angioino non vi è più alcuna traccia consistente anche se sappiamo che subito dopo l’ascesa di Carlo d’Angiò, Pescopennataro fu assegnato alpotente Rodolfo de Courtanay, morto nel 1271 senza eredi maschi. Sua figlia Matilde andò sposa a Filippo di Fiandra ed il feudo dopo qualche tempo finì alla famiglia Sabràn. Poi passò ai Cantelmo che vediamo signori di Pescopennataro almeno dal 1422. Passato ai Caldora, il feudo fu confiscato ad Antonio dopo gli avvenimenti del 1465. Fu feudo dei d’Afflitto e poi dei Caracciolo-Pignatelli ed infine della famiglia del Monaco.
Il paese ha subito profonde trasformazioni per la distruzione di un gran numero di case che una volta erano tutte fatte con la pietra che abili scalpellini locali estraevano dalla roccia su cui il paese si era sviluppato. Un’attività che li rese celebri in tutto il territorio circostante. Se oggi qui sono poche le pietre lavorate, in altri paesi (e Agnone ne è un esempio significativo) si trovano esempi notevolissima di quest’arte che fiorì soprattutto dal XVIII secolo in poi. Anzi, un certo Nicola De Lallo, in una pubblica epigrafe, si definì architetto (ed i paesani ne vanno orgogliosi) quando realizzò la fontana che dal 1762 consente agli abitanti di Pescopennataro di avere l’acqua in piazza.
Nella chiesa madre di S. Bartolomeo Apostolo si venera la Madonna Assunta rappresentata in una bella statua lignea, ma l’opera artisticamente più interessante è l’altare maggiore con il ciborio in legno dorato tra i più belli della regione. Si conosce la data e l’autore della doratura perché nella parte posteriore si legge: D. LAURENTIUS FAGNANUS ARCHIPT. ET DOMINICUS DE PETRO LITTERIO PROCURATOR A.D. 1699 – JOSEPH PETTI TRAE:ORATENI INNAURAVIT. La chiesa è ad una sola navata. Il primo altare laterale a destra è dedicato a S. Luca che vi è rappresentato in grandezza quasi naturale (inseme al bue) nella statua che Felice Maria Calvitti fece realizzare nel 1889. Nella nicchia laterale vi è la Madonna del Carmine e nell’altare che segue la Madonna Immacolata con il serpente. A lato è S.Rocco.Sull’ultimo altare è il quadro moderno della Madonna del Rosario tra S. Domenico con il cane e S. Rita coronata di spine. Intorno tondi seicenteschi con i 15 misteri del Rosario, alcuni dei quali sono stati grossolanamente rifatti. A lato una nicchia con la statua ottocentesca di S. Giuseppe con il Bambino. Sulla parete di sinistra, invece, il primo altare è del XVII secolo ed ha colonne lignee decorate a rilievo con disegni floreali con la solita finestra sul timpano. Vi è rappresentata la scena dell’Annunciazione con vari santi e S. Margherita d’Antiochia (che protegge nei parti difficili) con il mostro che l’inghiottì. L’altare successivo è dedicato a S. Bartolomeo Apostolo rappresentato da Leo Paglione nel 1968 nel momento in cui i carnefici cominciano scuoiarlo. Più avanti l’altare di S. Antonio e la nicchia che ospita la statua di S. Emidio Vescovo che invita a pregare Dio perché protegga dai terremoti: Invoca me in die tribolacionis. Una bella acquasantiera tiene rappresentato un pesce a rilievo nella vasca circolare che si regge su una deliziosa colonnina decorata con motivi floreali seicenteschi. Sul dado di base una incomprensibile epigrafe.
Mentre visito la chiesa entrano dei signori dal visibile aspetto nordico. Tra essi Adam Harasiewicz, il pianista considerato nel mondo come il massimo interprete di Chopin, che ama passare parte delle sue vacanze nel Molise sperando che nessuno lo riconosca. L’altra chiesa, dedicata alla Madonna, è situata nella piazza moderna. E’ ad una sola navata, ma chi la costruì volle creare l’illusione che fosse a tre navate accentuando la profondità dei semipilastri che separano gli arconi dell’aula che accolgono gli altari laterali. Di particolare interesse l’altare dedicato a S. Margherita d’Antiochia non solo per la statua ottocentesca della santa, tra le più originali del Molise per la presenza del mostro che la divorò e dalla cui pancia uscì usando la croce come un bisturi, ma anche per le originali decorazioni in stucco. Mostrano in alto un ricco panneggio che fa da sfondo a due angeli a rilievo (uno regge un ombrellino da processione) che sono a lato di un Agnello sormontato da un ostensorio, da una Croce e dai simboli della Passione di Cristo. Ugualmente notevole è l’altra statua con un possente S. Antonio Abate che si vede rappresentato con un cinghiale in luogo del solito porcellino, il bastone con la campanella ed il libro fiammeggiante. Sulla doratura della base si legge che il simulacro fu realizzato nel 1891 per devozione dei coniugi Angelomaria Fagnano e Giuseppa Antonia De Francesco. Vi sono pure da una partela statua di S. Lucia con la palma del martirio e gli occhi sul piattino e dall’altra il gruppo della Deposizione.
Non si può andare via da Pescopennataro senza passare per l’eccezionale bosco di abeti soprani e fermarsi all’eremo di S. Luca da cui si gode uno straordinario panorama. Se si sta in silenzio si sentono le voci dei bimbi che giocano sulla piazza del paese.