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Roccasicura

Chiunque si sia inoltrato nella ricerca dei luoghi che sono descritti nel catalogo dei baroni normanni della metà del XII secolo, si è sicuramente impantanato quando gli sono apparsi i nomi di Berardo de Castelluccio, Randisio figlio di Berardo, Berardo figlio di Ugone e Matteo figlio di Aminadep, perché tra i feudi che risultano in loro possesso compaiono alcune rocche che non sono state ancora identificate. Non é, però, il caso di Roccam Siccem e Roccam Beraldi che, per motivi geografici o per assonanze con i nomi dei feudatari o per la vicinanza con il bosco che oggi si chiama Muttiglio (e che una volta si chiamava Imbutillum), vengono individuate nell’area di Roccasicura, anche se nessuno se la sente di dire con certezza che uno di questi sia il nome originario del paese. Certamente, comunque, dal XIII secolo in poi cominciò a chiamarsi Rocca Sicona, poi Rocca Ciconia, Roccacicuta ed infine, forse per la sua particolare posizione che psicologicamente la fa apparire protetta dallo spuntone calcareo su cui si appoggia, si chiamò Rocca Sicura.

Che abbia avuto un castello si capisce da ciò che il tempo e gli uomini hanno avuto la bontà di lasciarci in quell’area che oggi è occupata dalla torre dell’orologio, una delle torri circolari dei tanti rifacimenti della struttura castellana attrezzata prima dai normanni e poi dagli angioini. Un castello che aveva dimensioni notevoli, come sembra da quel torrazzo rotondo (ormai definitivamente inglobato in una casa che si affaccia sul versante occidentale della rupe) e che una volta doveva costituire il punto di massima difesa e di controllo della valle verso Forli. Il paese antico si stendeva da questa parte, tant’é che ancora oggi tutto il piccolo borgo viene chiamato “la Terra”. Sul suo lato più facilmente accessibile sopravvive l’arco dell’antica porta, anticipata più in basso da un portello, di cui rimane solo il nome, e da una chiesa scomparsa di S. Rocco che, secondo la tradizione seicentesca, era subito fuori del nucleo urbano per assicurare la protezione dalla peste.

Nel XVI secolo probabilmente è accaduto qualcosa di particolare a Roccasicura. Forse ci si era convinti che la funzione difensiva era definitivamente tramontata e si era deciso di ampliare il paese verso sud-est, in quella parte che fu occupata dal palazzotto baronale e, poco dopo la metà del XVI secolo, dalla chiesa dedicata a S. Leonardo a cui fu confermata la responsabilità della protezione sugli abitanti.

Del palazzotto baronale rimane ben poco a causa delle trasformazioni antiche e degli stravolgimenti moderni. Un bel portale con arco a tre centri, fatto in uno stile che ci riporta al gusto dei primi anni del Seicento, fa individuare il suo originario ingresso dalla piazza. Lo stemma con l’insegna dei d’Evoli partita con quella dei Carafa della Stadera (si nota l’assenza della spina nello scudo) fa ricondurre la sua costruzione all’epoca in cui Oliviero d’Evoli sposò Isabella Carafa, prima del 1648 quando lo vediamo già da tempo feudatario di quella terra. I d’Evoli ed i Carafa si sono alternati nel dominio di questo paese. Anzi i Carafa (ma quelli della Spina) lo tennero dal XIV secolo, come si desume anche da uno stemma trecentesco che originariamente era forse collocato sul portale del distrutto castello e che ora si trova murato sulla facciata laterale della chiesa di S. Leonardo.

Rifatta in facciata con caratteri neoclassici e completamente trasformata al suo interno con un restauro moderno che ha cancellato anche quel poco che era sopravvissuto al terremoto del 1805, probabilmente era stata costruita (o sostanzialmente ricostruita) intorno al 1563, come attesta l’epigrafe sull’architrave del portale. In origine doveva avere alcune delle volte interne a crociera con pronunziati costoloni in pietra. Il concio centrale di una di esse, avendo la forma di una piccola croce con rosetta, ora si trova murato nella parte alta dello spigolo esterno dell’edificio. L’interno, pur non avendo nulla di architettonicamente pregevole, conserva cose interessanti. Un altare ligneo della prima metà del 600 con colonne riccamente decorate con elementi fitomorfici intrecciati ad angeli musici. In alto la Janua Coeli, inserita nel timpano spezzato, mostra Dio Padre che regge la sfera dell’universo. Su una tela popolaresca del 500 vi è un S. Giuseppe alle spalle di una Madonna con Gesù Bambino che porge la mano ad un S. Giovannino con il bastone dell’Agnus Dei. In basso a sinistra è S. Giorgio a cavallo che uccide il drago e, dall’altra parte, S. Leonardo di Limoges con i ferri dei carcerati di cui fu ritenuto il protettore. Un’acquasantiera con base a forma di balaustro è sicuramente della prima metà del seicento per la presenza dello stemma dei d’Evoli partito con quello dei Carafa della Stadera. Una seconda acquasantiera incastrata nel muro è più interessante per la presenza di un rospo immerso nell’acqua santa. E’ l’analogo del serpente nelle acquasantiere di Carovilli, Roccamandolfi o Caccavone e mi ricordache in uno dei quadri più belli di Arnaldo De Lisio dall’occhio del rospo sono proiettate le tentazioni a S. Antonio Abate.

Insieme alle statue diS. Rocco e S. Antonio di Padova, sulla parete destra del presbiterio si trova una pala d’altare ottocentesca con la Madonna del Rosario, S. Domenico (con il cane che regge la fiaccola in bocca) e S. Caterina da Siena. Il tutto contornato dai 15 misteri del Rosario, dall’Annunciazione fino al Mistero dell’Assunzione. Sull’altare è sistemato uno dei Crocifissi trecenteschi più belli del Molise. In chiesa vi è pure un quadro che viene dalla settecentesca cappella della Madonna di Vallisbona.Con la Madonna vi è S. Nicola con le tre palle e un Santo Monaco, forse Antonio da Padova.

Ma Roccasicura merita una visita tutta particolare se si è amanti della natura e del mangiar bene. Così, se si vuole associare alla visita del paese una passeggiata su uno dei tratturi più importanti e belli della Penisola, bisogna assicurasi con un certo anticipo che Littorio Benito Vittorio e sua moglie Carlotta possano ospitarti davanti al camino più grande della regione e che riscalda la grande sala del “Tratturo”. Vi sono solo due grandi tavoli e, se si riesce a garantirsi un posto, si passerà una serata da principi tra splendide specialità molisane e vini sapientemente consigliati. Mai andare senza telefonare prima: si rischia di rimanere fuori della porta!