Tags

Related Posts

Share This

Scapoli

Anche se non so suonarla, mi vanto di possedere una zampogna di Scapoli fatta per me da Franco Izzi. E’ di fatto il simbolo popolare dell’Alta Valle del Volturno, perché Scapoli afferma di essere la capitale della zampogna e perché a Scapoli si tiene una originale festa dedicata non solo allo strumento tipico del luogo, ma a tutti i tipi di strumenti analoghi, provenienti da ogni parte del mondo. Perciò, nella patria dei più famosi costruttori di zampogne (Di Fiore, Guatieri, Izzi, Ricci), vi sono esposizioni retrospettive che oggi costituiscono l’attrazione principale del paese.

Ma Scapoli non è solo questo. Il palazzo baronale, che fu dei Battiloro, sebbene sia in attesa di un restauro che gli restituisca almeno una dignità epidermica dopo la sistematica spoliazione interna, rivela nel suo impianto una anzianità almeno millenaria. Elementi architettonici che con un po’ di attenzione si scoprono inglobati nelle sovrapposizioni angioine, trovano radici nell’epoca di incastellamento delle Terre di S. Vincenzo, intorno alla fine del decimo secolo, quando ancora non era finito il dominio longobardo nell’Italia meridionale.

In genere quasi mai si conoscono i nomi dei fondatori di un paese. Scapoli, invece, può vantarsi di sapere chi abbia costruito il primo gruppo di case e chi ne abbia assicurato la prima difesa. Lo si ricava da un prezioso documento del Chronicon Vulturnense che riferisce della concessione fatta nel luglio del 982 dall’abate Giovanni II ai primi coloni autorizzati ad insediarsi in loco qui nominatur Scappeli e che, qualche anno dopo, nel 1045, sarà già definito Castrum Scappili: Mastro Giovanni Cantone con i suoi due figli Varvato ed Azzo.

Sul significato del nome del paese non vi sono dubbi perché è riferito alla spigolosità della roccia su cui si appoggia. Spigolosità simile a quella della scapola dell’uomo. Il paese si sviluppò cercando la difesa nella conformazione naturale del colle che aveva accolto le prime case. Nel tempo, da una difesa passiva, si passò a quella attiva realizzando una consistente cinta muraria intervallata da torri circolari ed un piano di ronda che in parte ancora conserva il suo fascino originario, soprattutto per il suo dominio visivo sul territorio circostante.

Sulla linea muraria ancora esistente si vedono le strutture circolari di almeno due torri, ma un’altra esisteva in corrispondenza di una seconda porta, verso Rocchetta, che è stata abbattuta per realizzare una moderna rampa di acceso alla parte alta del paese e permettere alle automobili di arrivare quasi fin sui camini delle case. E così, seguendo una consuetudine amministrativa, che andava molto di moda qualche decennio fa (non ancora del tutto superata), per valorizzare il paese si è demolita una parte di esso. Così facendo non solo i paesi rimangono spopolati, ma si cancella anche quel poco che potrebbe servire ad arginare il fenomeno migratorio.

Dall’altra parte del nucleo, verso Castelnuovo, non vi è traccia di strutture circolari. E ciò deriva dal fatto che tutta la fascia naturale è talmente scoscesa che non aveva bisogno di particolari apparecchiature di difesa oltre la cortina muraria. Il cerchio murario si richiude sul palazzo Battiloro dove una torre di pianta quadrata, collegata alla facciata occidentale, fa ipotizzare la corrispondenza all’impianto di una originaria struttura longobarda.

All’interno della cinta difensiva non vi è la presenza di alcuna chiesa, anche se gli anziani ancora chiamano S. Maria quella parte più alta del paese dove si ricorda l’esistenza di una minuscola cappella. Perciò, in un paese sostanzialmente chiuso in se stesso, è certamente strano che la chiesa madre, dedicata a S. Giorgio Martire, si trovi oggi completamente fuori dell’antico perimetro delle mura di difesa. Ancora più strano che il suo portale secondario, che si trova sul fronte opposto della facciata, sia posizionato ad un livello molto alto rispetto al piano della attuale piazza. Secondo il Masciotta la chiesa di S. Giorgio sarebbe stata ampliata nel Settecento, sul sito di una antica chiesa molto più piccola. Non so se ciò corrisponda al vero. Certamente questo portale laterale, per il fatto che una parte della sua epigrafe trecentesca sia coperta dagli stipiti, fa ritenere che sia stato smontato da un altro luogo e poi rimontato senza tener conto della scritta che ne attesta l’origine. Oggi sull’antico architrave si legge: A. MCCCXXVIIIIIXPOIOHISPPXXIIANO X + REGNORVM DNI REGIS ROBERTIAXVII + REGIMINISNICLI – DFRACTVRA ABBISSCL VINCDECRETORVM DOCTORISAXIX FVITKPORTAMANVSMARCELLI D’AQVILA FACTA IVRESOPNI ANIBESECASTELLOARCHIPRESBITERI SCAPVLORVM –ANNO II …

Così sappiamo che esso fu voluto da un certo Annibale da Castello che la fece scolpire da Marcello di Aquila quando Roberto d’Angiò era re e Giovanni XXII era papa. Non possiamo risolvere il mistero della originaria collocazione di questa importante testimonianza, ma dall’epigrafe sappiamo pure che nel 1326 era abate di S. Vincenzo al Volturno (da cui dipendeva la parrocchia di Scapoli) il celebre Nicola di Frattura. Egli fu importante non solo per aver emanato una vera e propria costituzione per il clero e per i laici dell’abbazia ed un commento alla Regola di S. Benedetto, ma anche e soprattutto per aver contestato apertamente l’operato di Celestino V di cui fu aspro oppositore fino a decidere di fuggire a Bologna per non avere nulla a che fare con lui quando fu eletto papa.

A rilievo sull’architrave sono posizionati tre bei tondi che rappresentano un S. Giovanni Battista dalla barba ispida, l’Agnello Crucifero che simboleggia il Cristo sacrificato e S. Giorgio Martire che sotto forma di leone sta uccidendo il drago. A Scapoli, oltre S. Giorgio,oggi esiste solo un’altra piccola chiesa che è posta nel borgo nato sull’antica strada che porta a Castelnuovo ed è dedicata a S. Giovanni Battista. Se la chiesa di S. Giorgio è stata sostanzialmente manomessa per i numerosi interventi di riparazione o di restauro, ugualmente non può dirsi della chiesetta di S. Giovanni che, con dignità architettonica, conserva sull’altare un popolaresco Cristo Pantocratore del XV secolo che è racchiuso in una mandorla sostenuta da quattro angeli in volo.